domenica 1 novembre 2009

DELL'AMORE PURIFICATO

Valeria sosteneva, ormai da anni, che con la caduta del muro di Berlino fosse crollata pure ogni residua remora sulla necessità di una convinta condanna dei dogmatismi. L'intuizione libertaria degli anni '60, liquidata dai marxisti più ortodossi come riesumazione di un anarchismo impotente, aveva saputo ben vedere e prevedere come la cancellazione e la repressione del dissenso fossero in radicale contrasto con l'idea stessa di un socialismo inteso come regno della libertà. Una volta liberi dal dogmatismo, anzi, non c'era più assolutamente nulla che ci impedisse di formare tutte le nostre convinzioni attingendo a piene mani ad ogni fonte di conoscenza che potesse suscitare un qualche interesse.
Così quell'idea di Bertrand Russell di un mondo in cui ha libero gioco il rapporto affettivo, in cui l'amore si è purificato dall'istinto del dominio, l'aveva sedotta al punto da far sì che ella arrivasse a condividerla totalmente non solo nelle elaborazioni concettuali, ma anche nel modo concreto di relazionarsi con gli altri.
Valeria, infatti, letteralmente odiava le forme verbali del dominio affettivo. «Come si può impiegare tutto il proprio sforzo creativo e di astrazione nel teorizzare un mondo libero dalla proprietà privata – pretesa fonte di ogni tipo di sfruttamento – quando nemmeno riusciamo a liberarci della concezione proprietaria degli affetti?», andava ripetendo sempre più spesso in ogni conferenza, in ogni workshop, ma soprattutto in ogni discussione in cui si abbandonasse anche solo per qualche istante il chiacchiericcio da bar.
Facile immaginare poi come reagisse Valeria – cui dava fastidio persino sentirsi dire frasi come «sei la mia migliore amica» – di fronte a quegli incauti che osavano esprimersi in questi termini: «tu sei la mia donna (compagna, amante, quello che volete)». Nella migliore delle ipotesi, il temerario sarebbe stato liquidato con un: «io non sono di nessuno», pronunciato con una veemenza tale da non ammettere più replica alcuna. Ai più indelicati, invece, sarebbe toccato l'excursus storico e sociologico sulla condizione di soggezione che implicitamente sottendevano espressioni apparentemente innocenti, ma tutt'altro che affettuose, come quelle che prevedevano l'uso di aggettivi e pronomi possessivi non impersonali.
In quella prima serata trascorsa a Genova con Marco, però, l'argomento non venne fuori polemicamente, ed occupò altresì giocosamente larga parte dei loro discorsi. Marco, del resto, aveva da sempre l'abitudine di non usare aggettivi possessivi in correlazione ai rapporti interpersonali. Un'ottima abitudine disse Valeria, «anche se non sei riuscito a spiegarmi bene perché lo fai».
Malauguratamente, di tutto ciò che i due riuscirono a dirsi sull'amore purificato dal dominio, in quelle ore trascorse assieme, poco o nulla dovette mai esser passato per la testa del tizio in tenuta di sommossa che, di lì a qualche ora, avrebbe urlato ripetutamente al suo collega di spaccare loro le ossa. Più esattamente le parole d'odio vomitategli addosso furono queste: «Ma fracassagli le ossa a quel dottorino e alla sua troia comunista!». Solo parole, per fortuna. Dolorose, certo. Ma neanche lontanamente paragonabili con la mattanza genovese, subita da decine di ragazze e ragazzi inermi, e senz'altro meno fortunati di loro, in quei giorni in cui in Italia vennero improvvisamente sospese le garanzie e le libertà previste dai moderni Stati di diritto.